Io più che Nuto vedevo Baracca, quest’altro morto impiccato. Guardai il muro rotto, nero, della cascina, guardai in giro, e chiesi se Santa era sepolta lì.
-Non c’è caso che un giorno la trovino? hanno trovato quei due…
Nuto s’era seduto sul muretto e mi guardò col suo occhio testardo. Scosse il capo. –No, Santa no, -disse, -non la trovano. Una donna come lei non si poteva coprirla di terra e lasciarla così. Faceva ancora gola a troppi. Ci pensò Baracca. Fece tagliare tanto sarmento nella vigna e la coprimmo fin che bastò. Poi ci versammo la benzina e demmo fuoco. A mezzogiorno era tutta cenere. L’altr’anno c’era ancora il segno, come il letto di un falò.

Questo è il paragrafo finale di La luna e i falò di Cesare Pavese, il testo è preceduto da una riga bianca che gli restituisce dunque una certa autonomia che ci consente di leggerlo da solo e di godere appieno della sua bellezza. Il finale (di un romanzo, di un racconto, di una poesia) è sempre un punto che l’autore cura particolarmente, per la sua posizione privilegiata di rimanere ben impresso nella mente del lettore e di riportare il senso della vicenda narrata. Pavese, che è sempre uno scrittore attento ai termini che utilizza e ai significati simbolici che possono trasudare dal testo, ha sempre scritto finali molto elaborati e di impatto.
Le righe conclusive della Luna e i falò sono dedicate a spiegare il destino di un personaggio importante per il romanzo: Santa, una ragazza che si è venduta collaborando con i tedeschi e diventando l’amante di alcuni militari e che con il suo comportamento ha fatto arrestare diversi partigiani. Una prima importante considerazione riguarda proprio il nome che Pavese sceglie per un personaggio del genere: Santa; la santa. Forse che il suo ruolo può essere visto come necessario e guidato dall’alto e la sua morte un martirio? Come in certe interpretazioni scritturali secondo cui il ruolo di Giuda era assolutamente inevitabile e dunque le sue colpe andrebbero sminuite, anche il ruolo di Santa può forse essere simile. Si rimanda forse ancora oltre (Pavese era anche acuto studioso di antropologia): agli antichi discorsi sull’ineluttabilità del male di cui sono ricche tutte le culture.
E sia che il ruolo di Santa fosse inevitabile o non lo fosse, era logico comunque che ci fosse la sua morte. E nel nome Santa è già inscritto un rogo: un po’ santa un po’ strega la protagonista deve finire tra le fiamme.
Anche l’ultima similitudine del libro è ampiamente significativa: il posto dove è stata Santa per l’ultima volta è paragonato al letto di un falò. Il falò è un simbolo ricorrente nella produzione di Pavese, sin da Paesi tuoi e anche il fatto che ritorni nel titolo del romanzo e sia la sua ultima parola è importante. Ma ci si vuole qui soffermare sull’altra parola della frase: il letto.
Il peccato di Santa è stato quello di andare a letto con dei militari tedeschi ed è giusto che quasi come un contrappasso il luogo dove è stato il suo corpo l’ultima volta appaia ora come un letto.
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