Ripubblico una recensione che era nel vecchio blog, spero che possa essere di utilità a chi la cercava!
Paesi tuoi di
Cesare Pavese è stato un libro importantissimo quando uscì nel
1941. Pavese era conosciuto per la sua intensa attività all’Einaudi,
che lo vedeva non solo in veste di redattore ma anche di specialista
di scrittori americani e aveva pubblicato pochi anni prima un libro
di poesie, Lavorare stanca che proprio verso scrittori
americani come Walt Withman aveva un grosso debito. Paesi tuoi
rispecchiava bene gli interessi che lo scrittore aveva
manifestato nella sua precedente attività: in esso il paesaggio è
vissuto come un vero e proprio personaggio, la campagna inoltre
scatenava tutta una serie di istinti primordiali e violenti, come
nelle opere di William Faulkner. Il romanzo, seguendo l’esempio
della narrativa americana, era scritto in una lingua molto vicina a
quella parlata, con la sua sintassi irregolare e termini dialettali
piemontesi. La lingua di Paesi tuoi, e il suo legame così
vivo nei confronti della terra di cui parla, furono i principali
motivi per cui molti degli scrittori che iniziarono a scrivere negli
anni ’40 presero il romanzo come un esempio da imitare: il
Neorealismo che voleva riscoprire, dopo la retorica che aveva
caratterizzato fin troppo la letteratura italiana, la gente comune e
la voglia di raccontare il proprio mondo, decise di partire da questo
libro che proseguiva idealmente lo scavo di un certo realismo che
veniva fatto risalire fino a Verga. Come in tutti gli scrittori
italiani fino almeno agli anni ’60, la scelta della lingua da usare
per un operazione del genere non fu semplice. Pavese in particolare è
stato forse uno degli autori del ‘900 con maggiore coscienza
linguistica: per lui, piemontese, scrivere in una buona prosa
italiana era una conquista importante e dover scrivere un libro in
cui doveva scegliere quali elementi del piemontese fare convivere e
che tipo di lingua fare parlare ai suoi personaggi langaroli non era
una scelta semplice. La vicenda, come già accennato, esprime al
meglio la realtà delle Langhe: il paesaggio se vogliamo crea le
situazioni.
La storia è semplice:
Berto, un torinese, incontra in prigione Talino, abitante di un paese
di campagna. Quando i due escono di prigione Berto, che faceva il
meccanico, viene invitato da Talino ad aiutarlo con alcune macchine
agricole nel suo paese. Non è ben chiaro se Talino sia il vero
responsabile dell’incendio di una fattoria per cui è finito in
prigione o se dietro di lui ci siano altre persone; Berto si
invaghisce della sorella di Talino, Gisella, che scopre poi essere
stata violentata dal fratello anni prima. In un impeto di rabbia,
Talino pianta un forcone nella gola alla sorella uccidendola. Ho
raccontato volutamente la trama in maniera breve e forse un po’
slegata perché così procede il libro. Molti passaggi, molti
ragionamenti dei personaggi non sono descritti; così per quanto
riguarda l’incendio al casolare, come è veramente andata e come
Berto pensa sia andata, non abbiamo troppe spiegazioni. Non ci è
dato neanche seguire il ragionamento che porta a capire l’incesto
verso Gisella: la narrazione di Pavese ci permette di sapere solo
alcune conclusioni a cui Berto arriva. Forse proprio questa eccessiva
secchezza nei ragionamenti dei personaggi, così come il netto
disprezzo che il torinese Berto ostenta verso la gente di campagna,
possono essere considerati i limiti del romanzo.
Il personaggio di
Gisella, dallo stupro alla storia d’amore con Berto, al suo
omicidio alla fine della vicenda, si carica di diverse valenze
simboliche. È una vittima sacrificale, alla fine pare che nessuno
faccia nulla per non farla morire, come se tutti sapessero che il suo
destino era proprio questo. Il romanzo così da una parte si propone
come una descrizione di una ben determinata realtà, ma dall’altra
mostra appieno l’aspetto più “decadente” di Pavese. Oltre a
Gisella anche il paesaggio è estremamente simbolizzato e letto in
chiave soggettiva: Berto paragona sempre le colline a delle mammelle,
e anche Gisella è paragonata alla frutta fresca. La lezione di
Pavese, una delle tante, è proprio l’interpretazione in chiave
soggettiva del paesaggio e il tendere trame metaforiche e simboliche
sotto la trama “più visibile”.
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