Sabato 20 aprile sarà celebrato il Record store Day, una giornata dedicata ai negozi di dischi indipendenti (non facenti parte di catene). Nei Paesi anglosassoni l'iniziativa è molto sentita, parecchi gruppi pubblicano delle edizioni speciali dei loro dischi che verranno vendute solo per questa iniziativa, e anche in Italia qualcuno partecipa. Si tratta di un'occasione per rivalutare i vecchi negozi, in un'epoca in cui è più comodo fare tutto via internet (non si tratta di un aut aut, w internet!).
Per celebrare questa giornata volevo condividere alcuni ricordi personali legati a tre negozi di dischi della periferia di Genova (Voltri, Pegli e Sestri) che oggi non ci sono più.
Dietro la Standa di via Sestri c'era un piccolo negozietto, che aveva sempre in vetrina le novità più interessanti. In realtà la maggior parte dei dischi che si trovavano dentro Discanto erano cd in offerta, 19.900 lire. Nonostante non fosse molto grande, non mi metteva disagio stare lì anche una mezzoretta a sfogliare i cd e a vedere se riconoscevo in quei titoli qualcosa di cui avevo letto sulle riviste o di cui mi aveva parlato qualcuno. Lì ho comprato il mio primo cd singolo (Don't look back in anger) e lì una volta ho trovato un catalogo dei dischi in offerta. In questo piccolo librettino si elencavano molti nomi importanti, di cui avevo sentito molto parlare e di cui immaginavo la musica, anche se in realtà non ne avevo mai sentito una nota. Credevo veramente che alcuni dischi potessero cambiarti la vita, e allora affidare questo cambiamento a dischi fatti da gente che aveva avuto delle vite tragiche non mi sembrava consigliabile. Ero intimorito ma anche attratto dai Velvet Underground e dai Joy Division; i primi, da quel che ne sapevo, erano stati i padri ispiratori del punk, parlavano tranquillamente di droghe pesanti, di sadomaso e di violenza, nel gruppo avevano un violino e facevano caos. Avevo sentito dire che all'epoca in pochi avevano comprato il loro primo disco, ma quei pochi avevano tutti fondato un gruppo. I Joy Division invece erano la conseguenza della delusione seguita all'esplosione del punk: lenti, funerei, il cantante era un mezzo nazista che si era ucciso.
Dopo qualche settimana di tentennamenti optai per tornare a Sestri a prendere The Velvet Underground & Nico, il disco con la banana. Non c'erano i testi, ma sapevo bene che Heroin parlava di eroina, Venus in furs di sesso sadomaso e I'm waiting for the man di spaccio; tuttavia non mi sembrava che la musica fosse punk, era una nenia poco esaltante, oltretutto il cd era pure masterizzato male: se alzavi troppo il volume la voce, la chitarra e la viola (scoprii presto che non si trattava di un violino) gracchiavano.
All'inizio percepivo l'energia solo in Run, run, run e nella finale European Son; mi ci vollero diversi ascolti per capire il ritmo di Heroin, la paranoia di Sunday Morning e tutti i gioielli che si trovavano in quella quarantina scarsa di minuti.
Ero diventato fiducioso nel comprare un disco a scatola chiusa, solo perché ne avevo sentito parlare bene. Così durante le passeggiate in via Sestri, tante volte deviavo ed entravo in quel negozio, a immaginare la musica di artisti che avrei ascoltato effettivamente mesi o anni dopo.
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