Con Sorella, mio unico
amore Joyce Carol Oates ha
compiuto quello che solo la migliore arte riesce a fare: prendere un
brutale fatto di cronaca e, trattandolo con rispetto, trasformarlo in
un'opera narrativa capace di analizzare la psicologia di un
personaggio e la società.
L'episodio
in questione è il caso dell'omicidio in casa di una piccola miss di
bellezza di 6 anni. Il delitto rimase senza colpevoli, tra
confessioni improbabili, ostacoli alle indagini sui familiari e un
biglietto di riscatto.
Nella
vicenda della Oates la nuova identità della piccola protagonista è
quella di Bliss Rampike, piccola pattinatrice del New Jersey
vincitrice di molti titoli. A raccontare la vicenda è il fratello,
Skyler, il principale sospettato dell'omicidio. La finzione
letteraria è portata avanti con una gran perizia post-moderna: il
narratore, che all'epoca del delitto aveva 9 anni e scrive il suo
lungo memoriale (più di 600 pagine) prima del decimo anniversario
della morte della sorella, è spesso sotto l'effetto di psicofarmaci,
non ricorda molti episodi, dice di non volere raccontare quello che
sa. Spesso Skyler parla di sé in terza persona e ci tiene a mettere
in evidenza cosa significhi per lui scrivere di un episodio così
traumatico. La Oates riesce bene in questo gioco di finzione
narrativa; nelle prime pagine disegna già la scena del delitto per
tornarvi su in maniera ripetitiva e ossessiva, proprio come farebbe
Skyler. L'attenzione non è tesa solo a ricostruire la psiche
disturbata del ragazzo, il lettore conosce già buona parte della
vicenda grazie alle pagine iniziali (e negli Stati Uniti la conosceva
anche prima, dato che il fatto di cronaca da cui il libro prende le
mosse è molto noto), tuttavia la trama è curata e arricchita da
eventi importanti per lo sviluppo della storia (la visita di Skyler
al posto di lavoro del padre, il viaggio di Skyler per raggiungere la
Profumi del Paradiso ad esempio).
Il
contesto in cui si svolge la vicenda è quello di una ricca famiglia
di una piccola località del New Jersey. Il padre, Bix, è un
dirigente di una multinazionale, con le sue fissazioni, le sue
perversioni, la sua cultura fatta di citazioni sbagliate e il suo
forte senso del successo e del nome della famiglia. La madre, Betsey,
è una donna che vuole piacere ad ogni costo, in un continuo bisogno
di integrazione e di approvazione è una brava cristiana che mette a
disposizione la sua immagine di donna distrutta dalla tragedia per
fare affari scrivendo libri e mettendo sul mercato prodotti di dubbio
gusto. I due figli sono come pupazzi di plastilina che i genitori
cercano di plasmare come meglio credono, costantemente messi in mezzo
nei loro contrasti (e questo è ben chiarito nelle ultime pagine del
volume). Skyler è ai margini della famiglia, trattato con imbarazzo
sia durante la vita che dopo la morte della sorella, è un
bambino/ragazzo mai valorizzato se non come specchio dei desideri dei
genitori. Bliss è quasi un oggetto, le sue esigenze di bambina non
sono considerate da nessuno, Skyler le potrebbe anche volere bene ma
la gelosia è talmente forte che vede in lei solo quello che lui non
è riuscito ad essere.
Alla
fine delle oltre 650 pagine la ricostruzione degli eventi torna, il
novello Edipo Skyler riesce a capire molto di quello che è successo,
tentando nel finale di compiere un gesto simbolico (proprio lui che
per tutto il romanzo aveva messo in evidenza come stesse parlando di
fatti reali e invitava il lettore a non trovare alcun simbolismo).
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