Sul blog che avevo anni fa le avevo già messe, ma oggi pubblico nuovamente qui le note di copertina dell'edizione Remastered & expanded del primo disco dei Violent Femmes scritte da Marc Salata della Rhino, la casa discografica che ha ristampato questo disco nel 2002. Le pubblico nuovamente perchè fa piacere aprire il libretto di un cd e trovare che non sia solo un prodotto commerciale, ma ci siano anche scritte delle parole che danno al disco stesso un valore aggiunto, facendo capire la sua importanza e anche le vicende che hanno portato alla sua registrazione (queste sono nelle pagine successive, insieme ad un'analisi “track to track”); questo è importantissimo soprattutto in questi ultimi anni in cui il formato fisico del cd tende ad essere soppiantato dal più comodo mp3: se mi compro un disco voglio anche un bel libretto!
Breve finale polemico, prima di lasciarvi alle note di copertina: perchè in Italia si preferisce pubblicare infinite antologie piuttosto che ristampare i dischi rimasterizzati, con qualche pezzo in più e con delle note che facciano apprezzare maggiormente il valore?

When I was 15, I recognized that there were two kinds of music.
There was the kind that was made by and for people who liked clothes, dancing, and chatting up the opposite sex. That was not the kind I listened to.
The rest of us listened to music by and for people who didn’t fit in. We scattered to find something that rejected the romantic slow jams, the slick fashion, or the dance moves that composed the music of Top 40 radio. For some it was Goth or punk, or the safe haven of our brothers’ classic rock. But it was all just a different form of conformity. I got caught up in the heavy metal crowd, conveniently ignoring the idea that ripped jeans and concert T-shirts were just as much a uniform as anything worn by the cool crowd I ran from.
Violent Femmes saved me. There were no membership card, dress code, or initiation ceremony. They didn’t require us to be angry, in awe of them, to look like them, to talk like them. They were so completely on their own that they were scene-less. They made music for misfit teenagers in its purist form beacuse they themselves didn’t fit into any mold.
As we celebrate the 20th arriversary of their classic debut album, I still remember the day I first heard them. Someone began to shout over the boom box that played in the back of the school bus: “I take one, on, one ‘cause you left me...” One voice grew to four, then ten: “Eight, eight, I forgot what eight was for...” Eventually, the entire back half of the bus reached the crescendo: “Ten, ten, ten, ten for everything, everything, EVERYTHING, EVERYTHING!”
There is a new busload of misfits every year, and this album still speaks to them.

E qui c’è la traduzione in italiano

Quando avevo quindici anni ho capito che c’erano due tipi di musica.
C’era quella che era fatta da gente e per gente a cui piacevano i vestiti, ballare e fare discorsi superficiali con persone del sesso opposto.
Quello non era il tipo di musica che ascoltavo io.
Noi altri ascoltavamo musica fatta da gente e per gente che non si trovava a proprio agio. Ci dividevamo per cercare qualcosa che andasse contro le ballate romantiche, la moda passeggera o i balletti che costituivano la musica delle radio che trasmettevano solo grandi successi. Per qualcuno questo qualcosa era il Goth, per altri il Punk o il porto sicuro del rock classico del fratello maggiore. Ma tutto ciò era solo una forma diversa di conformismo. Io ero rimasto imbrigliato tra quelli che ascoltavano Heavy Metal, ignorando per comodità l’idea che jeans strappati e maglie da concerto fossero un’uniforme proprio come quelle indossate dai modaioli da cui volevo distinguermi.
I Violent Femmes mi salvarono. Non c’era bisogno di tessere di appartenenza, di vestirsi in una certa maniera o un rito di iniziazione. Non ci chiedevano di essere arrabbiati, per reverenza verso di loro, di sembrare come loro o di parlare come loro. Erano così tanto a modo loro che non avevano una scena di riferimento. Facevano musica per ragazzi disadattati nella forma più pura perché loro stessi non si trovavano a proprio agio in nessun contenitore.
Nel ricordare il ventesimo anniversario della pubblicazione del loro album di debutto ricordo la prima volta che li ho sentiti. Qualcuno ha iniziato a gridare sullo stereo che suonava dalle ultime file dello scuolabus: “I take one, one, one ‘cause you left me…” da una voce ora erano quattro, poi dieci:: “eight, eight, I forgot what eight was for…” alla fine tutta la parte di dietro del bus raggiunse il crescendo: “ten, ten, ten, ten for everything, everything, EVERYTHING, EVERYTHING!”
C’è un autobus carico di ragazzi disadattati ogni anno, e quest’album parla ancora anche per loro.



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Oramai è da un paio di anni almeno che i commenti sui blog sono drasticamente diminuiti, spariti quasi direi. Non parlo solo della mia esperienza personale di questo blog, è così un po' ovunque, basta provare a cercare in giro sulle varie piattaforme (blogspot, wordpress sono le più diffuse dopo la chiusura di splinder) e si vedrà che i commenti sono veramente pochissimi anche su blog frequentati. Ieri è uscito un articolo su Wired che prova a dare una risposta al perchè "i commenti dei blog siano morti". Le motivazioni date dall'autore (la frenesia sui social network; le tantissime piattaforme su cui si può scrivere di un argomento, il lettore si perde tra esse; la moderazione dei commenti rallenta il dibattito)  mi convincono fino ad un certo punto. Non che non siano veri, in particolare penso che l'abitudine a leggere contenuti brevi e a commentare in maniera sintetica come avviene su Facebook abbia forgiato il modo di approcciarsi ad internet dei nuovi utenti, educati a mettere un mi piace o ad insultare (questo è più da Youtube) piuttosto che a partecipare ad un dibattito. Però a questo punto l'articolo spiega perché la gente non segua in maniera fedele un blog, ma non perché una volta arrivato sul blog non lascia poi un commento. Credo sia una questione di educazione comunicativa, oggi si commenta chi si conosce (Facebook), non l'estraneo che mi dà informazioni utili; in questo cambiamento di modalità di comunicazione credo che siano responsabili anche le piattaforme stesse. Anni fa era facile che, cercando la recensione di un concerto ad esempio, ci si imbattesse in blog di altri utenti, li si commentasse e questi rispondessero al commento. Adesso vedo che invece molti arrivano sul mio blog trovando quello che cercavano, ma nessuno scrive un commento... All'interno dello stesso Splinder inoltre la home page dava la possibilità di ricercare su altri blog e rendeva facile andare a curiosare. Questo oggi non succede più.  Probabilmente si tratta di uno dei tanti cambiamenti legati alla comunicazione via internet, ma cerchiamo di analizzare per bene questo fenomeno.
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