Mi sono sempre interessato alle leggende metropolitane, quelle storie
a volte poco credibili che si sentono in giro ma di cui non si
conosce di preciso la fonte. Anche nel vostro quartiere girava un
furgoncino bianco che rapiva i bambini? Mi interessa soprattutto come
la gente le diffonda con la massima serietà pur non avendo la minima
prova della veridicità del fatto. Il web 2.0 attuale, quello dove
ognuno esiste in quanto essere che condivide qualcosa con qualcun
altro, è enorme piazza in cui raccontare storie e dunque anche un
focolaio di fenomeni virali potentissimo, proprio come è stato fino
ad ora il passaparola per le leggende metropolitane (e in generale
per il senso comune ampiamente inteso). Se qualcuno racconta bene una
storia, o meglio ancora pubblica la foto giusta con la didascalia
giusta, questa può raggiungere milioni di utenti in poche ore. Ed
essere creduta vera. In maniera impressionante viene a crollare la
barriera tra reale e finto, condividiamo qualcosa di forte anche
senza verificare la fonte, siamo disposti a credere alle storie più
incredibili se queste sono in sintonia con quello che già pensiamo.
Per questo internet è un luogo dove è facile rafforzare le proprie
convinzioni: vi si trova tutto e il contrario di tutto.
Ma non mi soffermo su questo; un'altra barriera che viene a crollare
è la distinzione tra scrittore e narratore. Una persona che ha un
po' di confidenza con i testi narrativi sa benissimo che chi scrive
non è la stessa figura di chi narra una storia: Conan Doyle non è
Watson e Mellville si chiama Herman e non si faceva chiamare Ismaele
nella vita reale. Tuttavia questa consapevolezza sembra venir meno su
internet e specialmente su Facebook, senza dubbio il più grande
luogo dove la gente racconta e condivide storie. Dato che il mondo
dei social nerwork è prevalentemente la casa dell'emotività,
dell'espressività, se io scrivo -divento dunque un narratore –
vengo anche percepito come il portatore di un'esperienza che mi ha
coinvolto, chi legge non sa se sto parlando (o condividendo) il
pensiero di un amico o una pagina che ho visto e che mi ha colpito;
spesso non sa neanche se le parole che uso sono mie o di qualcun
altro (non credo che Morrissey adori usare i social network a questo
punto!). È un tipo di rapporto con il pubblico che solitamente non
riguarda la scrittura narrativa: nessuno crede che Manzoni avesse
conosciuto Renzo e Lucia o che Camilleri sia il confidente del
commissario Montalbano. Oltretutto quello che dicono i personaggi può
non essere il pensiero dello scrittore. È un tipo di rapporto con il
pubblico più vicino al mondo musicale, in particolare di generi
emotivamente veri come la canzone d'amore o il rap. Qui sì che ci
aspettiamo che chi canta abbia vissuto quello di cui sta parlando,
che Ramazzotti sia sempre innamorato o Fabri Fibra sempre incazzato.
Ecco, vengono a cadere le convenzioni che contraddistinguono
l'esperienza della lettura; quello che Umberto Eco chiama patto
finzionale. Io non posso
credere che ogni cosa che leggo sia vera! Devo
saper riconoscere i generi. Questo purtroppo è un problema
abbastanza diffuso, non so se ricordate quando qualche anno fa la Cei
si schierò contro “Il codice da Vinci” dichiarando che era pieno
di falsità... una grande polemica quando sarebbe bastato dire la
verità, cioè è un romanzo, non un testo di Storia!
Faccio un esempio prima di diventare troppo astratto: questa
storia gira abbastanza su Facebook e ogni volta
che la incontro, trovo sempre commentatori che esprimono i loro
pensieri (pardon, le loro emozioni) come se la storia fosse reale,
mentre altri attaccano: ma che roba è, non può essere vera! Pochi
solitamente leggono il testo per quello che è: un racconto di
finzione, strappalacrime. Ci sembra meno toccante se sappiamo che non
è successo realmente? Abbiamo bisogno delle storie vere per potere
avere a che fare con i nostri sentimenti? La tv sembra averci educato
in questa direzione e anche per questo non credo sia casuale
l'invasione di video dei talent show con personaggi portatori di
vissuti tragici condivisi sui social network.
Dalle leggende metropolitane ai post su Facebool diVincenzo Federico è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Visualizza commenti