1. Proprio ieri mi sono stati accreditati i 500€ per l'autoformazione degli insegnanti. Ho già fatto la lista della spesa che pian pianino metterò in pratica...Ovviamente questi soldi sarebbero potuti arrivare in altro modo, ma non starò qui a scrivere su cosa sarebbe potuto essere, condivido due considerazioni.
    La prima è che, con questo bonus da spendere e non da tenere per se stessi, viene attribuita una nuova funzione a noi insegnanti: docenti, psicologi, educatori e da adesso anche possibile traino del mercato culturale. Non è curioso? Ci viene chiesto di utilizzare una cifra alta in libri, spettacoli teatrali, cinema; insomma in campi che non se la passano molto bene. Sembra proprio un bel favore al mercato dell'editoria...scegliamo bene a chi dare i nostri soldi! E a proposito del dare i nostri soldi propongo un'iniziativa: usiamo il contributo in piccoli esercizi, librerie, teatri, cinema e quant'altro che possa avere un reale beneficio da un'iniezione di denaro per la cultura. Non sono contrario alle grandi catene o alla vendita di prodotti culturali on line, ma con questo contributo si può fare qualcosa di buonissimo per chi opera nel mondo della cultura e, di conseguenza, non naviga sempre in ottime acque
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  2. Mattatoio n° 5 è un romanzo di Kurt Vonnegut. Tra tutte le sue caratteristiche, viene ricordato per essere un'opera contro le guerre dal momento che viene pubblicato negli U.S.A. nel 1969 -nel pieno della guerra del Vietnam- e che racconta la distruzione della città tedesca di Dresda nel corso della seconda guerra mondiale ad opera di un bombordamento alleato. Motivi non sufficienti per definire il libro un capolavoro della narrativa americana, e infatti questi rappresentano solo la punta di un iceberg molto più consistente.
    Il 1969 è anche l'anno di Woodstock, la controcultura ha prodotto risultati notevoli in tutte le forme d'arte avvicinandosi anche ad autori che non nascono direttamente dal suo sottobosco. Come Vonnegut. Egli, nato nel 1922, non è un giovane hippie e i procedimenti letterari che usa sono in gran parte scollegati da questo clima culturale, tuttavia alcuni punti in comune tra il mondo hippie e alcune idee creative del libro non credo siano casuali e possono aver accentuato il suo successo proprio tra gli adepti della controcultura: pacifisti e interessati a una visione non lineare del mondo. E questo libro è lineare solo per poche pagine: quelle del capitolo 2, dove nel presentare il protagonista Billy Pilgrim, Vonnegut ci elenca già tutte le tappe della sua vita in ordine cronologico: la guerra e la cattura da parte dei Tedeschi che lo portano in vari campi di prigionia, la vita da sposato, l'incidente aereo e l'ospedale psichiatrico, la vita accudito dalla figlia, il rapimento da parte degli alieni che lo portano sul pianeta Trafalmadore, il suo intervento alla radio per parlare dei trafalmadoriani. Il lettore vive la vita di Billy come se fosse un abitante di Trafalmadore, ricordiamoci che Vonnegut si sente sempre uno scrittore di fantascienza: anche per lui la vita non è fatta di momenti che si susseguono in ordine lineare, ma di momenti che convivono nello stesso istante. Per questo i trafalmadoriani non hanno paura della morte: essa è solo uno dei momenti che possono succedere, subito dopo si ritorna ragazzi o adulti, per poi ritornare ad essere vecchi e malati e così via. Nei capitoli successivi infatti tutte le fasi della vita di Billy si alternano, avanti e indietro nel tempo. Cioè, mi spiego meglio: non è che vengano raccontate in ordine sparso, è proprio il protagonista che viene sballottato in un momento o in un altro della sua vita.
    Ma nel capitolo 1 cosa succedeva? Succedeva quello che di solito capita nelle prefazioni: l'autore ci spiega la genesi del suo libro, l'idea lasciata a metà tante volte di scrivere un romanzo sul bombardamento di Dresda. Solo che questo è il 1969 e la prefazione oltrepassa le sue barriere usuali, dunque questa spiegazione a costituire già il primo capitolo del romanzo. Vonnegut sceglie di raccontare le vicende da lui vissute durante la prigionia attraverso una storia il cui protagonista si chiama Billy. L'autore ci racconta tutto di lui, dal suo punto di vista a volte inverosimile, senza intervenire o giudicare. Sarà andato veramente su Trafalmadore o hai ragione sua figlia quando gli fa notare che racconta di questi strani viaggi solo dopo che ha avuto un incidente aereo? Tuttavia Vonnegut non si limita ad essere narratore: in un paio di occasioni compare anche come personaggio, è anche lui uno dei soldati americani tenuti prigionieri nel mattatoio. Come fa a sapere tutte queste cose di Billy se i due appartengono allo stesso mondo del romanzo? Solitamente il narratore si pone da un'altra parte rispetto ai personaggi delle sue creazioni, ma non in questo libro. Ricordiamoci che siamo nel '69.

    Viaggi nel tempo, pianeti sconosciuti, film visti al contrario (faccio riferimento ad una delle pagine più belle del libro, quando Billy guarda un film di guerra al contrario e ce lo racconta come se fosse veramente così che sono andate le cose: con i missili che vengono risucchiati dagli aerei e via dicendo)... ma quando è che viene il bombardamento di Dresda?! Ecco, entriamo in contatto con questo che è l'episodio più importante nel bel mezzo della festa per i diciotto anni di matrimonio di Billy e Valencia. Qui ci sono tutti i personaggi principali -tra quelli che sono sulla Terra -della vita di Billy dopo la guerra: gli ottici suoi colleghi, lo scrittore di fantascienza Kilgore Trout e anche il figlio che sarebbe poi diventato un Berretto Verde impegnato nella guerra del Vietnam. Mentre il protagonista ascolta l'esibizione di un quartetto vocale inizia a sentirsi a disagio. Ma non capisce perché si senta male, allora si allontana dalla festa e riflette, “Billy pensò intensamente all'effetto che il quartetto aveva avuto su di lui e scoprì che c'era un collegamento con un'esperienza che aveva fatto molto tempo prima. Non viaggiò nel tempo sino a rivivere quell'esperienza. La ricordò vagamente così:” E qui ci viene raccontata l'esperienza dei soldati rinchiusi nel bunker del mattatoio mentre la città viene rasa al suolo e poi la loro uscita all'aria aperta, qualche giorno dopo. Dunque quello che dovrebbe essere il cuore del romanzo non viene affrontato direttamente, ve lo avevo detto all'inizio che questo libro era ben di più di un singolo fatto.

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    Recensione di Mattatoio n. 5 diVincenzo Federico è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
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  3.  Mi sono sempre interessato alle leggende metropolitane, quelle storie a volte poco credibili che si sentono in giro ma di cui non si conosce di preciso la fonte. Anche nel vostro quartiere girava un furgoncino bianco che rapiva i bambini? Mi interessa soprattutto come la gente le diffonda con la massima serietà pur non avendo la minima prova della veridicità del fatto. Il web 2.0 attuale, quello dove ognuno esiste in quanto essere che condivide qualcosa con qualcun altro, è enorme piazza in cui raccontare storie e dunque anche un focolaio di fenomeni virali potentissimo, proprio come è stato fino ad ora il passaparola per le leggende metropolitane (e in generale per il senso comune ampiamente inteso). Se qualcuno racconta bene una storia, o meglio ancora pubblica la foto giusta con la didascalia giusta, questa può raggiungere milioni di utenti in poche ore. Ed essere creduta vera. In maniera impressionante viene a crollare la barriera tra reale e finto, condividiamo qualcosa di forte anche senza verificare la fonte, siamo disposti a credere alle storie più incredibili se queste sono in sintonia con quello che già pensiamo. Per questo internet è un luogo dove è facile rafforzare le proprie convinzioni: vi si trova tutto e il contrario di tutto.
    Ma non mi soffermo su questo; un'altra barriera che viene a crollare è la distinzione tra scrittore e narratore. Una persona che ha un po' di confidenza con i testi narrativi sa benissimo che chi scrive non è la stessa figura di chi narra una storia: Conan Doyle non è Watson e Mellville si chiama Herman e non si faceva chiamare Ismaele nella vita reale. Tuttavia questa consapevolezza sembra venir meno su internet e specialmente su Facebook, senza dubbio il più grande luogo dove la gente racconta e condivide storie. Dato che il mondo dei social nerwork è prevalentemente la casa dell'emotività, dell'espressività, se io scrivo -divento dunque un narratore – vengo anche percepito come il portatore di un'esperienza che mi ha coinvolto, chi legge non sa se sto parlando (o condividendo) il pensiero di un amico o una pagina che ho visto e che mi ha colpito; spesso non sa neanche se le parole che uso sono mie o di qualcun altro (non credo che Morrissey adori usare i social network a questo punto!). È un tipo di rapporto con il pubblico che solitamente non riguarda la scrittura narrativa: nessuno crede che Manzoni avesse conosciuto Renzo e Lucia o che Camilleri sia il confidente del commissario Montalbano. Oltretutto quello che dicono i personaggi può non essere il pensiero dello scrittore. È un tipo di rapporto con il pubblico più vicino al mondo musicale, in particolare di generi emotivamente veri come la canzone d'amore o il rap. Qui sì che ci aspettiamo che chi canta abbia vissuto quello di cui sta parlando, che Ramazzotti sia sempre innamorato o Fabri Fibra sempre incazzato. Ecco, vengono a cadere le convenzioni che contraddistinguono l'esperienza della lettura; quello che Umberto Eco chiama patto finzionale. Io non posso credere che ogni cosa che leggo sia vera! Devo saper riconoscere i generi. Questo purtroppo è un problema abbastanza diffuso, non so se ricordate quando qualche anno fa la Cei si schierò contro “Il codice da Vinci” dichiarando che era pieno di falsità... una grande polemica quando sarebbe bastato dire la verità, cioè è un romanzo, non un testo di Storia!
    Faccio un esempio prima di diventare troppo astratto: questa storia gira abbastanza su Facebook e ogni volta che la incontro, trovo sempre commentatori che esprimono i loro pensieri (pardon, le loro emozioni) come se la storia fosse reale, mentre altri attaccano: ma che roba è, non può essere vera! Pochi solitamente leggono il testo per quello che è: un racconto di finzione, strappalacrime. Ci sembra meno toccante se sappiamo che non è successo realmente? Abbiamo bisogno delle storie vere per potere avere a che fare con i nostri sentimenti? La tv sembra averci educato in questa direzione e anche per questo non credo sia casuale l'invasione di video dei talent show con personaggi portatori di vissuti tragici condivisi sui social network.

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    Dalle leggende metropolitane ai post su Facebool diVincenzo Federico è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
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