Ho tradotto un racconto tratto dal libro Hasidic Tales of the Holocaust di Yaffa Eliach ad uso e consumo di chiunque ne sia interessato e poiché non ne esiste una traduzione italiana. Potete condividerla con chi volete, l'importante è che non spacciate la traduzione come opera vostra ma citiate Vincenzo Federico come traduttore e che non la utilizziate per ottenerne profitto.
Buona lettura! Se qualcuno fosse interessato ad altri brani del volume può contattarmi
Il
Bar Mitvah [cerimonia di passaggio per i maschi ebrei di dodici anni
alla vita religiosa adulta, simile nel significato alla Cresima,
n.d.t.] all’Aperion Marion di Brooklyn, New York, era stato una
bella celebrazione. Il padre del ragazzo faceva parte del gruppo di
Shanghai [un gruppo di sopravvissuti che avevano trovato rifugio in
Cina durante la Seconda Guerra Mondiale, n.d.A.] e sua madre era una
sopravvissuta di Auschwitz. Vicino a me sedeva una bionda vivace con
un piacevole senso dell’umorismo che si presentò come Tula
Friedman. Presto venni a sapere che Tula poteva raccontare storie in
un perfetto Tedesco, Ebraico, Yiddish, Inglese, Ungherese, Ceco e
senza dubbio in un paio di altre lingue di cui non avevamo parlato.
Quando la musica interferiva con la nostra conversazione, lei mi
chiedeva di alzare la voce dal momento che la sua capacità di udire
era limitata a un solo orecchio. “Un souvenir di un pestaggio ad
Auschwitz”, mi spiegò mentre si indicava l’orecchio.
Riportava
alla memoria l’evento, per filo e per segno, in Tedesco, Yiddish,
Ebraico e Inglese raccontandolo nella lingua appropriata con
citazioni precise, descrivendo vari episodi legati a quel pestaggio e
alle sue conseguenze.
Un
cameriere arrivò al tavolo con un cesto contenente diverse varietà
di pane. Tula chiuse i suoi occhi e inalò l’aroma del pane appena
sfornato come chi inali i dolci profumi di un mazzo di fiori appena
tagliati. Mi passò il cesto senza prendere nulla. “Grazie” disse
al cameriere, “ma sono a dieta”. Si girò verso di me. “Sai,
nel campo sognavo tantissimo il pane. C’era specialmente un sogno
ricorrente nel quale io un giorno avrei sposato un fornaio e nella
nostra casa ci sarebbe sempre stata abbondanza di pane”.
“In
cambio di questo cesto di pane”, disse un’altra donna dall’altra
parte del tavolo “nel campo avresti potuto comprare tutti i
gioielli che vedi a questo Bar Mitzvah. Una volta, a Bergen Belsen,
ho scambiato un anello con diamanti per una fetta sottile di pane
bianco”.
Il
pane sul tavolo rimaneva ancora non toccato. Il cameriere tornò
nuovamente al tavolo. “Signore, vedo che oggi non avete fame”.
“Oggi
no”, disse Tula “nè mai più”.
Il
cameriere era sul punto di togliere il pane. “Lo lasci sul tavolo”
disse un’altra donna. “Non c’è nulla di più rassicurante in
questo mondo che avere un cesto di pane appena sfornato davanti a te
sul tavolo”.

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