Ho tradotto un racconto tratto dal libro Hasidic Tales of the Holocaust di Yaffa Eliach ad uso e consumo di chiunque ne sia interessato e poiché non ne esiste una traduzione italiana. Potete condividerla con chi volete, l’importante è che non spacciate la traduzione come opera vostra ma citiate Vincenzo Federico come traduttore e che non la utilizziate per ottenerne profitto.  Buona lettura! Se qualcuno fosse interessato ad altri brani del volume può contattarmi.

I filatteri di un fratello

Lei era un’adolescente. Suo fratello era di qualche anno più giovane. La loro intera famiglia era stata deportata insieme a migliaia di altri ebrei di Rzeszow verso il campo di sterminio di Belzec. Lei, suo fratello e un giovane cugino erano gli unici sopravvissuti di una famiglia molto numerosa. Nel novembre 1942, quando i molti viaggi verso i campi di sterminio avevano ridotto la popolazione del ghetto di Rzeszow, il ghetto venne trasformato in un campo di lavoro e diviso in due parti più piccole e isolate: A per i lavoratori-schiavi e B per i membri delle loro famiglie. I tre giovani si ritrovarono nel campo A. quando arrivarono suo fratello realizzò che, nella grande fretta della deportazione dalla parte più grande del ghetto, aveva lasciato lì i suoi filatteri, che aveva ricevuto per il suo Bar Mitvah allo scoppio della guerra. Credeva che se avesse pregato indossando i filatteri, lui, la sua amata sorella e suo cugino sarebbero sopravvissuti alla guerra, perché i filatteri erano appartenuti al suo bisnonno, un importante Hassid, ed erano stati tramandati di padre in figlio.
Prima ancora che sua sorella provasse a fermarlo, lui corse indietro verso la parte più grande del ghetto per recuperare i suoi filatteri. Non appena entrò nel ghetto fu catturato dai tedeschi e venne condannato a morte con l’accusa di saccheggio. Quando sua sorella seppe del destino del fratello, corse immediatamente verso il quartier generale della Gestapo e supplicò il comandante di liberare il suo unico fratello ancora vivo. Il comandante della Gestapo la guardò perplesso e divertito e disse: -Sei stata proprio una ragazzina molto carina e coraggiosa a venire al quartier generale della Gestapo per supplicare per la vita di tuo fratello. Per gli ebrei questo posto è il portone verso l’eternità. Dammi una buona ragione per cui dovrei ascoltarti.
-Per una ragione molto buona,- replicò la sorella senza esitazione, -Mio fratello è ritornato nella parte più grande del ghetto per recuperare un oggetto sacro che ha uno speciale potere protettivo. Se rilascerà mio fratello, non le accadrà nulla sui campi di battaglia e ritornerà in buona salute in Germania per riunirsi con la sua famiglia alla fine della guerra.
Ci fu un silenzio nella stanza che per la sorella durò un’eternità. Il comandante della Gestapo guardò attraverso la finestra come alla ricerca di un punto lontano. Senza guardarla comandò: -Lasciate che il giovane si ricongiunga alla sorella.

La pioggia

Le selezioni al campo di lavoro di Rzeszow, in Polonia, terminarono nel novembre del ‘43. La sorella, suo fratello e loro cugino, tutti coloro che erano sopravvissuti da una grande famiglia, vennero deportati ad Auschwitz. Con l’avanzata dell’Armata Rossa, vennero poi evacuati in grande fretta.
Durante i gelidi mesi dell’inverno del ‘45, decine di migliaia di esseri umani innocenti che stavano morendo di fame, congelando e a malapena vestiti, vennero guidati attraverso l’Europa a piedi e in carri bestiame verso vari campi di concentramento e di lavoro nelle parti più interne, in Germania. La sorella venne separata dai ragazzi e si ritrovò in un campo mentre il fratello e il cugino raggiunsero Gardelegen, in Germania.
Era una giornata primaverile soleggiata e luminosa, il 14 aprile del ‘45 in un campo vicino alla città di Gardelegen. La liberazione era vicina. L’Armata Rossa si stava avvicinando in direzione del fiume Elba e divisioni armate dell’esercito americano stavano avanzando verso il fiume da ovest. I nazisti e i loro collaboratori avevano i giorni contati e stavano cercando una maniera veloce per uccidere i lavoratori-schiavi. Sotto la direzione di un soldato della Wehrmacht dei giovani tedeschi con l’uniforme delle S.S. riunirono 1100 prigionieri di varie nazionalità, incluso un americano, li pascolarono dentro un enorme fienile di mattoni circondato tutto da paglia impregnata di benzina e appiccarono il fuoco. Tra i 1100 esseri umani nell’inferno di fuoco c’erano i due cugini.
È difficile descrivere le urla e le preghiere provenienti dal fienile. Man mano che il fumo diveniva sempre più intenso e le fiamme saltellanti diventavano più alte, le urla diminuivano e venivano soffocate dal suono dei colpi di tosse. Ma le preghiere non si fermavano. Tutte le preghiere individuali, tutti i barlumi di speranza si riunivano in una frase, un pianto di uomini in una babele di lingue: “Oh Dio, salvaci!” “Shema Yisrael!” “Ascolta Israele, il Signore nostro Dio, il Signore è uno!” Con ogni ondata di fiamme divoratrici, le urla degli uomini che stavano bruciando diventavano più distanti e deboli. Improvvisamente il cielo si fece nero. Un tuono scosse cielo e terra. La pioggia scese giù a fiumi, come un’alluvione.
Le fiamme svanirono. Una manciata di giovani persone riuscì a uscire dal fienile e si gettò nella terra zuppa. I giovani cugini avevano vinto un’altra partita contro la morte ma sul pavimento dell’edificio c’erano i corpi bruciati di 1016 giovani.
Il giorno successivo i soldati americani liberarono Gardelegen. Come indicato dal loro rapporto: Il secondo battaglione, 405 fanteria, scoprì vicino a Gardelegen un’atrocità così orribile che potrebbe benissimo essere stata compiuta in un’altra epoca o piuttosto su un altro pianeta.

Una melodia pasquale

La pioggia aveva estinto le fiamme del granaio di Gardelegen, Germania, dove 1016 lavoratori-schiavi morirono. Quando la pioggia si fermò i sopravvissuti all’incendio, altri prigionieri comuni e di guerra vennero caricati su camion controllati dai tedeschi e dai gendarmi per essere portati nei boschi ed essere fucilati. I boschi erano a pochi chilometri dal campo. L’aria era fresca e pulita. Il giovane fratello e il cugino erano su uno dei camion.
-Sono stanco- disse una delle guardie; -Hey, ragazzo ebreo, canta per me una delle tue canzoni religiose o un inno-. Il cugino, un giovane hassid, aveva una bella voce.
Era il 15 aprile del 1945, appena cinque giorni dopo la festa della Pasqua ebraica. Il giovane iniziò a a cantare una canzone dall’Haggadah di Pasqua Ve hi she amdah la-avoteinu. La melodia era bellissima. Subito gli altri lavoratori-schiavi di varie nazionalità e le guardie si unirono al canto. Il delicato vento di primavera portava la canzone agli altri camion del convoglio della morte e anche loro canticchiarono la melodia.
Non appena si avvicinarono alla foresta, la guardia tedesca interruppe il canto. -Spiegami il significato della vostra canzone, traducila per me. Il giovane hassid tradusse: E questo è quello che accadde ai nostri antenati e a noi. Perché non è stato solamente uno ad alzarsi contro di noi per annientarci, ma in ogni generazione sono stati in molti ad alzarsi contro di noi per annientarci. Ma il Santo -benedetto sia Lui – ci ha sempre salvato dalla loro mano.
Quando il ragazzo terminò la traduzione il tedesco scoppiò in una selvaggia risalta di scherno: -Vediamo un po’ come il vostro dio vi salverà dalla mia mano!
-Io sono vivo, ma non ho paura di morire.- Rispose il ragazzo
Raggiunsero uno spiazzo nella foresta. A gruppi da sei venivano portati vicino a un burrone per venire uccisi. I due cugini erano parte dell’ultimo gruppo. Sulla faccia del tedesco c’era un’espressione di trionfo mentre i giovani ragazzi venivano condotti alla loro morte.
Improvvisamente arrivò una motocicletta con due alti ufficiali tedeschi; ordinarono che i prigionieri rimanenti venissero riportati al campo. Gardelegen si era appena arresa all’esercito americano.

-Lo chiami pure destino, lo chiami miracolo, lo chiami come vuole- disse la signora Glatt concludendo la storia di suo fratello e di suo cugino, -ma una cosa è chiara. Noi, il popolo ebraico, con la nostra sovrabbondanza di fede, riusciremo in qualunque modo a sopravvivere per sempre.
Dopo un breve momento di silenzio aggiunse: -Io sono la bisnipote di Rabbi Raphael Zimtboim, il segretario personale del rabbino di Zenzer, Rabbi Hayyim Halberstam. Il rabbino era zoppo e molte volte il mio bisnonno, Reb Raphael, lo portava in giro. Forse è stato merito suo, merito della fede innocente di mio fratello e merito dei filatteri che hanno protetto tutti noi. I filatteri appartenevano a Reb Raphael.
-E suo fratello? dove è adesso?

-Poco dopo la liberazione morì. I suoi polmoni erano stati molto danneggiati dall’incendio di Gardelegen. Ma morì da uomo libero!
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Oramai è da un paio di anni almeno che i commenti sui blog sono drasticamente diminuiti, spariti quasi direi. Non parlo solo della mia esperienza personale di questo blog, è così un po' ovunque, basta provare a cercare in giro sulle varie piattaforme (blogspot, wordpress sono le più diffuse dopo la chiusura di splinder) e si vedrà che i commenti sono veramente pochissimi anche su blog frequentati. Ieri è uscito un articolo su Wired che prova a dare una risposta al perchè "i commenti dei blog siano morti". Le motivazioni date dall'autore (la frenesia sui social network; le tantissime piattaforme su cui si può scrivere di un argomento, il lettore si perde tra esse; la moderazione dei commenti rallenta il dibattito)  mi convincono fino ad un certo punto. Non che non siano veri, in particolare penso che l'abitudine a leggere contenuti brevi e a commentare in maniera sintetica come avviene su Facebook abbia forgiato il modo di approcciarsi ad internet dei nuovi utenti, educati a mettere un mi piace o ad insultare (questo è più da Youtube) piuttosto che a partecipare ad un dibattito. Però a questo punto l'articolo spiega perché la gente non segua in maniera fedele un blog, ma non perché una volta arrivato sul blog non lascia poi un commento. Credo sia una questione di educazione comunicativa, oggi si commenta chi si conosce (Facebook), non l'estraneo che mi dà informazioni utili; in questo cambiamento di modalità di comunicazione credo che siano responsabili anche le piattaforme stesse. Anni fa era facile che, cercando la recensione di un concerto ad esempio, ci si imbattesse in blog di altri utenti, li si commentasse e questi rispondessero al commento. Adesso vedo che invece molti arrivano sul mio blog trovando quello che cercavano, ma nessuno scrive un commento... All'interno dello stesso Splinder inoltre la home page dava la possibilità di ricercare su altri blog e rendeva facile andare a curiosare. Questo oggi non succede più.  Probabilmente si tratta di uno dei tanti cambiamenti legati alla comunicazione via internet, ma cerchiamo di analizzare per bene questo fenomeno.
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